Italiani popolo di santi, di eroi, di poeti e di trasmigratori, recita l’adagio che – nelle intenzioni dell’autore – dovrebbe descrivere gli abitanti del Bel Paese.
E italiani popolo di PMI, diciamo noi.
Nel nostro paese infatti c’è letteralmente un pulviscono di Piccole e Medie Imprese, diffuso capillarmente sul territorio, a testimoniare lo spirito e l’attitudine degli italiani.
E’ un modello produttivo che investe tutti i settori dell’economia – non ultimo quello dell’edilizia.
E proprio a questo tessuto attivo bisogna guardare per ricominciare a crescere.
Darwinismo dell’imprenditorialità
Durante la crisi, le PMI sono quelle che hanno mostrato la maggior flessibilità, la capacità più grande di adattarsi ai cambiamenti – anche drastici, anche tragici – dell’ultimo quinquennio.
Le PMI si sono trasformate, hanno reinventato le loro vision aggiornandole a paradigmi innovativi.
Farlo, però, ha previsto un effetto collaterale: l’ingresso in un mondo globale e internazionalizzato velocissimo e iperconnesso.
Federmanager insiste: è fondamentale, per reggere il colpo del confronto con il mondo intero, che le PMI si managerializzino.
Mentre la situazione reale è ancora diversa.
PMI: ancora il modello “casa e bottega”?
Il 70% delle Piccole Medie Imprese italiane, per la gestione dell’azienda, si affida ancora ad un familiare. E quando cambiano le generazioni, come è noto, molte aziende si perdono.
1 su 3, dicono i dati.
Mentre i grandi manager – e con essi, anche quelli illuminati – stanno arroccati nella grande impresa.
E invece, l’alleanza fra manager e impresa (anche piccola) sarebbe fondamentale, soprattutto mentre è in corso la rivoluzione 4.0 – veloce, pervasiva, antropologica… e selettiva.
Quindi: se da una parte i movimenti del Governo sono importanti – decreto crescita e sblocca cantieri – un ruolo chiave ce l’hanno proprio le imprese.
Che devono fare il salto: culturale, innovativo, e gestionale.
E nell’edilizia?
Nella piccola impresa edile, il manager/imprenditore si trova costretto ad avere una conoscenza a 360° e assolutamente approfondita di ogni processo aziendale – dalla progettazione alla metodologia di vendita del servizio prodotto.
Deve avere capacità di prospettiva, cioè sapere interpretare i trend del mercato, guardare al futuro in modo da non far compiere all’impresa passi fassi che creerebbero ferite difficilmente rimarginabili. Una capacità non idealistica e visionaria, ma fortemente ancorata al mondo pratico, reale.
Tutto questo può essere difficile: perché lo stesso manager/imprenditore in questi contesti lavora all’interno dell’azienda. Se da una parte è un bene, il rovescio della medaglia è proprio l’impossibilità di astrarsi a una visione obiettiva dell’azienda.
Il manager/imprenditore infine – anche e soprattutto nelle piccole realtà del tessuto imprenditoriale dell’edilizia italiana – deve avere conoscenze interdisciplinari, e sicuramente deve sapere usare la tecnologia. Le scelte informatiche, innovative e digitali non sono più rimandabili.
Mentre spesso, quello a cui assistiamo è invece un andamento negativo di piccole imprese dovuto allo scetticismo verso l’adeguamento tecnologico proprio ai vertici degli organigrammi – e non solo per motivi anagrafici, ma alle volte anche per (improbabili e opinabili) scelte personali.
L’efficientamento dei processi, la riduzione di tempi morti e fasi non necessarie – anche nell’ambito delle comunicazioni all’interno dell’azienda – ha, mai come adesso, un valore enorme.